Lo scandalo esplode nel maggio del 2004, due anni prima della bomba di Calciopoli..
L'inchiesta condotta dai pm Beatrice e Narducci, in seguito alle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti da vari pentiti appartenenti al clan dei Giuliano, approda sulla stampa nazionale rivelando la sua specificità locale. Il giro di scommettitori, faccendieri, calciatori indagati parrebbe infatti inizialmente fare riferimento all'ambiente napoletano. Napoletano, seppur residente a Verona, il boss della camorra Giacomo Cavalcanti, detto O' Poeta per l'evidente omonimia ma anche per presunte velleità letterarie, figura dominante della camorra flegrea con un passato da estremista rosso. Napoletano, più precisamente di Bagnoli, il consigliere circoscrizionale Antonio Di Dio, ritenuto il collante tra l'organizzazione criminale dell'hinterland partenopeo e i calciatori. Napoletani i calciatori implicati: da Generoso Rossi e D'Aversa del Siena ai vari Califano e Ambrosino militanti nelle serie minori.
E' proprio quest'ultimo, giocatore di scarso successo in forza al Grosseto in C2, il più compromesso, il calciatore per cui le evidenze di una vicinanza al giro di scommesse illegali sono maggiori. E sarà proprio Ambrosino in quei giorni a parlare, aiutando gli inquirenti a comprendere i meccanismi e il linguaggio degli scommettitori, decriptando il gergo ascoltato nelle intercettazioni per indicare i risultati su cui puntare e gli uomini di garanzia.
Si scopre quindi un argot non certo sviluppatissimo, in cui una vittoria fuori casa è indicata come "la periferia" e un pareggio come "un centro", ma sopratutto emergono nuovi personaggi celati dietro pseudonimi come "il parente", "il grande capo", "il santone", "il bello".
E' proprio "il bello" a dare una virata decisa non alle indagini ma al loro racconto giornalistico. Individuato l'adone nel terzino della Sampdoria Stefano Bettarini, legato alla popolare showgirl Simona Ventura, i giornali concentrano l'attenzione su di lui, personaggio mediatico per aspetto e frequentazioni. La graticola gli viene riservata per qualche mese, in cui i giornali cominciano a fare economia della parola "camorra", per concentrare le proprie attenzioni su di lui.
Il giocatore doriano è tirato in ballo per la sua amicizia con Marasco, centrocampista del Modena e suo ex compagno ai tempi del Venezia. I magistrati Beatrice e Narducci hanno di lui questa opinione: «E' chiaro come gran parte degli accordi volti a condizionare i risultati delle partite, anche di serie A e non soltanto relative al Modena, siano realizzati attraverso l' attivissima opera di Marasco, il cui ruolo centrale nel contesto delinquenziale esaminato appare del tutto evidente».
Marasco, a sua volta ex compagno nel Savoia di quello che viene ormai chiamato il pentito, Ambrosino, nega ogni addebito e contesta la sua identificazione con "il parente", spesso nominato nelle intercettazioni. Ma gli elementi a suo carico sono rilevanti, secondo gli inquirenti. In una telefonata intercorsa tra Ambrosino e tal Luigi Saracino, bookmaker di professione nell'area napoletana, l'ex calciatore del Grosseto riferisce una confidenza fattagli da Marasco, secondo il giudizio degli inquirenti. Per la partita Modena-Sampdoria si prospetterebbe un "centro" perché "il bello" nutre ancora speranze in una qualificazione per la Coppa Uefa. Un pareggio, anzichè una vittoria del Modena, disperatissimo in cerca di punti per salvarsi, perchè la Sampdoria non può frenare per la Uefa; questo Ambrosino saprebbe da Marasco. A complicare le cose un intenso traffico di sms tra Bettarini e Marasco nel periodo precedente la partita, e una telefonata avvenuta tra Marasco e Ambrosino in cui il primo direbbe che il suo presidente non avrebbe intenzione di spendere soldi per comprarsi la partita, secondo gli investigatori. Facendo intendere che questa pratica sarebbe in qualche modo diffusa. La partita per la cronaca finirà 1-0 per il Modena.
Ma a noi Bettarini interessa poco. Finirà per scontare 5 mesi di squalifica per "omessa denuncia" e non per avere truccato o scommesso sulla partita: a giudizio prevarrà la tesi di un Bettarini maniaco degli sms. Davanti alla giustizia ordinaria la sua posizione rimane aperta, con una richiesta di rinvio a giudizio datata pochi mesi fa, ma la sua immagine non risulterà compromessa. A differenza di Moggi, la cui posizione giudiziaria è in tutto simile, nessuno obietterà alla sua carriera sul piccolo schermo e alla sua costante presenza televisiva. D'altronde, tanto per ritornare a quella famosa inchiesta sul calcioscommesse del 1985, il mondo del calcio tributa oggi i giusti onori e persino una grande rispettabilità etica ad alcuni dei condannati in sede sportiva di quell'inchiesta. Basti pensare a Renzo Ulivieri, in questi giorni successore di Vicini alla guida dell'associazione di categoria, o a Ernesto Bronzetti, mago del mercato sulla tratta Italia-Spagna, e consulente di grandi società, tra le quali il Milan.
Bettarini in fondo è solo un personaggio marginale di un'inchiesta molto ampia che riguarda quella che abbiamo chiamato la vera Triade: calciatori, camorra e scommesse.
Nella ricostruzione dei Pm, avvenuta con l'aiuto delle rivelazioni di Ambrosino, le squadre coinvolte sono parecchie, dalla serie A fino ai Dilettanti, e spuntano anche nomi di dirigenti, allenatori e arbitri. In serie A sono 5 le squadre coinvolte: Chievo, Modena, Reggina, Sampdoria e Siena. In serie B squadre di prestigio come Venezia, Napoli, Como. Tra gli allenatori sono messi sotto inchiesta Papadopulo e Gigi Del Neri che guadagna dalle intercettazioni fama di incorruttibile ma deve confrontarsi con l'accusa di omessa denuncia. Tra i dirigenti spuntano nomi importanti. Il ds del Cagliari Nicola Salerno sarebbe "il santone", il presidente del Modena Amedei "il grande capo" (soprannome usato ad hoc in verità), il ds dei canarini Tosi "lo s***o". Infine gli arbitri, che condurranno l'inchiesta verso altri lidi, quelli che abbiamo imparato a conoscere con Calciopoli. Finiscono sotto inchiesta e vengono immediatamente sospesi dai designatori Bergamo e Pairetto, gli arbitri Palanca ("uomo nero") e Gabriele ("il ciociaro").
E' con l'inchiesta riguardante Palanca che le indagini prendono tutt'altra strada, in un contesto contrassegnato da una certa ambiguità e da qualche contraddizione. L'attenzione degli inquirenti si concentra su alcune frasi intercettate di Ambrosino che prima e dopo l'incontro Venezia-Messina, si dice sicuro della vittoria della squadra in trasferta. Non per un accordo tra giocatori delle due squadre, ma per la volontà dell'uomo nero, riconosciuto dagli inquirenti nell'arbitro Palanca. Ambrosino riferirebbe poi di avere ricevuto tale confidenza dal giocatore del Messina, oggi alla Reggina, Aronica. La partita effettivamente scatenerà molte polemiche e si concluderà con la vittoria del Messina e ben tre espulsi nelle fila dei lagunari. Espulsioni, va detto, giustificate: è il caso del portiere Soviero che si cimenta in una scena alla Bud Spencer, rifilando calci e cazzotti a chiunque gli capiti a tiro, e del difensore Maldonado (quello dell'acconto di Preziosi) che aggredisce fisicamente l'arbitro.
A questo punto gli inquirenti, seguendo una condotta che poi permeerà tutta l'indagine di Calciopoli, interrogano la presunta parte lesa e ne ricavano il verbo, la verità assoluta per proseguire le indagini. Vengono chiamati a deporre l'allenatore del Venezia Gregucci, già vice di Mancini alla Fiorentina, e colui che, non senza qualche elemento di dubbio nel metodo e nella sostanza del passaggio di consegne, ha ereditato la presidenza del Venezia da Zamparini, Franco Dal Cin.
Dal Cin sostiene davanti agli inquirenti l'appartenenza dell'arbitro Palanca a una fantomatica "combriccola romana", gruppo di arbitri capitanato dall'internazionale De Santis e con seguito evidentemente nella sezione romana dell'AIA, che si premurerebbe di assicurare risultati favorevoli alle squadre di riferimento della GEA, e quindi come scrivono gli inquirenti "alla famiglia Moggi".
Dal Cin e Gregucci basano la propria convinzione su un altro pilastro di Calciopoli: l'opinione comune dell'ambiente calcistico. "Si dice in giro che" De Santis e gli arbitri romani sarebbero proni al volere della GEA e quindi di Moggi. Dal Cin ha un'altra freccia al suo arco: prima dell'incontro tra la sua squadra e i peloritani, sarebbe stato avvertito telefonicamente da alcuni presidenti di essere spacciato, in quanto Palanca avrebbe condotto la partita a esclusivo favore del Messina. Fa i nomi di Cellino del Cagliari, il cui direttore sportivo era sotto inchiesta per le scommesse, Spinelli del Livorno, che comicamente i carabinieri descriveranno vicino alla GEA, ma non di un terzo presidente che l'avrebbe chiamato. Si potrebbe supporre Zamparini, presidente del Palermo e suo ex datore di lavoro, o Preziosi, che poi scopriremo suo amico. Ma questo terzo nome, comunque sia, non raggiunge la stampa.
Gli inquirenti danno grande risalto a questa deposizione, nonostante dopo tutto Cellino e Spinelli fossero antagonisti diretti del Messina nella lotta per la serie A quell'anno, e le loro parole e consigli potessero derivare da una certa, diffusa, paranoia competitiva.
Danno grande importanza a quelle che lo stesso Dal Cin, intervistato, derubrica a chiacchiere da bar.
Gli danno talmente importanza da dimenticare di testare quale possa essere la credibilità del personaggio Dal Cin, che presto andremo ad approfondire. E iniziano, a stretto giro di posta, un'altra indagine improntata a tutt'altro: la conosceremo due anni dopo con il nome di Calciopoli.
Il 5 giugno 2004 Dal Cin depone e nemmeno un mese dopo gli uomini di Auricchio sono al lavoro con un'indagine a tappeto, autorizzazioni ad intercettare e quant'altro sia necessario. Tutto per le parole di Dal Cin.
A questo punto il lettore immagina che quel Venezia-Messina sia stata la madre di tutti gli illeciti sportivi e il buon Palanca un ingranaggio ben oliato della cupola immaginata dai Pm. Invece no. La partita non è un caso di frode, secondo gli inquirenti. E sopratutto Palanca non entrerà nemmeno tangenzialmente nell'indagine sulla cupola e sulla combriccola romana, tanto che, ancora oggi, è a disposizione di Collina e Gussoni, regolarmente impiegato sui campi delle serie professionistiche. Palanca è pulito. Venezia-Messina fu una partita regolare.
Le dichiarazioni di Dal Cin, motore dell'inchiesta, non trovano quindi alcun riscontro e fondamento giudiziario. Così come la sua credibilità, nel frattempo, è scalfita da una combine con il Genoa di Preziosi al termine del campionato 2005. Gli inquirenti non se ne preoccupano e tirano avanti, tanto che quando daranno il via a un secondo giro di intercettazioni nel 2007, otterranno l'autorizzazione ad intercettare grazie alle dichiarazioni di Carbone che lo addita come faccendiere e aggiustatore di partite.
Risulta strana la fiducia assoluta accordata alle parole di Dal Cin, anche perchè l'inchiesta precedentemente si era interessata di presunti illeciti legati alle scommesse della sua squadra, il Venezia. Per strano che sia, comunque, va così. Dopo le deposizioni di Dal Cin, Scommessopoli diventa uno sperduto paesino di montagna, abitato da pochi viziosi. La giustizia sportiva opterà per la mano leggera: squalifiche di poco conto ai giocatori, squadre graziate; penalizzazione minima per il Modena. Le cronache giudiziarie non se ne interesseranno più. I rinvii a giudizio arriveranno ben due anni dopo e riguarderanno solamente nove imputati, tra cui Bettarini, Marasco e Ambrosino, non toccando i dirigenti coinvolti.
Nella prossima puntata andremo a comprendere meglio la svolta che Dal Cin imprime alle indagini, soffermandoci sulle dimenticanze dell'inchiesta sulle scommesse.
L'inchiesta condotta dai pm Beatrice e Narducci, in seguito alle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti da vari pentiti appartenenti al clan dei Giuliano, approda sulla stampa nazionale rivelando la sua specificità locale. Il giro di scommettitori, faccendieri, calciatori indagati parrebbe infatti inizialmente fare riferimento all'ambiente napoletano. Napoletano, seppur residente a Verona, il boss della camorra Giacomo Cavalcanti, detto O' Poeta per l'evidente omonimia ma anche per presunte velleità letterarie, figura dominante della camorra flegrea con un passato da estremista rosso. Napoletano, più precisamente di Bagnoli, il consigliere circoscrizionale Antonio Di Dio, ritenuto il collante tra l'organizzazione criminale dell'hinterland partenopeo e i calciatori. Napoletani i calciatori implicati: da Generoso Rossi e D'Aversa del Siena ai vari Califano e Ambrosino militanti nelle serie minori.
E' proprio quest'ultimo, giocatore di scarso successo in forza al Grosseto in C2, il più compromesso, il calciatore per cui le evidenze di una vicinanza al giro di scommesse illegali sono maggiori. E sarà proprio Ambrosino in quei giorni a parlare, aiutando gli inquirenti a comprendere i meccanismi e il linguaggio degli scommettitori, decriptando il gergo ascoltato nelle intercettazioni per indicare i risultati su cui puntare e gli uomini di garanzia.
Si scopre quindi un argot non certo sviluppatissimo, in cui una vittoria fuori casa è indicata come "la periferia" e un pareggio come "un centro", ma sopratutto emergono nuovi personaggi celati dietro pseudonimi come "il parente", "il grande capo", "il santone", "il bello".
E' proprio "il bello" a dare una virata decisa non alle indagini ma al loro racconto giornalistico. Individuato l'adone nel terzino della Sampdoria Stefano Bettarini, legato alla popolare showgirl Simona Ventura, i giornali concentrano l'attenzione su di lui, personaggio mediatico per aspetto e frequentazioni. La graticola gli viene riservata per qualche mese, in cui i giornali cominciano a fare economia della parola "camorra", per concentrare le proprie attenzioni su di lui.
Il giocatore doriano è tirato in ballo per la sua amicizia con Marasco, centrocampista del Modena e suo ex compagno ai tempi del Venezia. I magistrati Beatrice e Narducci hanno di lui questa opinione: «E' chiaro come gran parte degli accordi volti a condizionare i risultati delle partite, anche di serie A e non soltanto relative al Modena, siano realizzati attraverso l' attivissima opera di Marasco, il cui ruolo centrale nel contesto delinquenziale esaminato appare del tutto evidente».
Marasco, a sua volta ex compagno nel Savoia di quello che viene ormai chiamato il pentito, Ambrosino, nega ogni addebito e contesta la sua identificazione con "il parente", spesso nominato nelle intercettazioni. Ma gli elementi a suo carico sono rilevanti, secondo gli inquirenti. In una telefonata intercorsa tra Ambrosino e tal Luigi Saracino, bookmaker di professione nell'area napoletana, l'ex calciatore del Grosseto riferisce una confidenza fattagli da Marasco, secondo il giudizio degli inquirenti. Per la partita Modena-Sampdoria si prospetterebbe un "centro" perché "il bello" nutre ancora speranze in una qualificazione per la Coppa Uefa. Un pareggio, anzichè una vittoria del Modena, disperatissimo in cerca di punti per salvarsi, perchè la Sampdoria non può frenare per la Uefa; questo Ambrosino saprebbe da Marasco. A complicare le cose un intenso traffico di sms tra Bettarini e Marasco nel periodo precedente la partita, e una telefonata avvenuta tra Marasco e Ambrosino in cui il primo direbbe che il suo presidente non avrebbe intenzione di spendere soldi per comprarsi la partita, secondo gli investigatori. Facendo intendere che questa pratica sarebbe in qualche modo diffusa. La partita per la cronaca finirà 1-0 per il Modena.
Ma a noi Bettarini interessa poco. Finirà per scontare 5 mesi di squalifica per "omessa denuncia" e non per avere truccato o scommesso sulla partita: a giudizio prevarrà la tesi di un Bettarini maniaco degli sms. Davanti alla giustizia ordinaria la sua posizione rimane aperta, con una richiesta di rinvio a giudizio datata pochi mesi fa, ma la sua immagine non risulterà compromessa. A differenza di Moggi, la cui posizione giudiziaria è in tutto simile, nessuno obietterà alla sua carriera sul piccolo schermo e alla sua costante presenza televisiva. D'altronde, tanto per ritornare a quella famosa inchiesta sul calcioscommesse del 1985, il mondo del calcio tributa oggi i giusti onori e persino una grande rispettabilità etica ad alcuni dei condannati in sede sportiva di quell'inchiesta. Basti pensare a Renzo Ulivieri, in questi giorni successore di Vicini alla guida dell'associazione di categoria, o a Ernesto Bronzetti, mago del mercato sulla tratta Italia-Spagna, e consulente di grandi società, tra le quali il Milan.
Bettarini in fondo è solo un personaggio marginale di un'inchiesta molto ampia che riguarda quella che abbiamo chiamato la vera Triade: calciatori, camorra e scommesse.
Nella ricostruzione dei Pm, avvenuta con l'aiuto delle rivelazioni di Ambrosino, le squadre coinvolte sono parecchie, dalla serie A fino ai Dilettanti, e spuntano anche nomi di dirigenti, allenatori e arbitri. In serie A sono 5 le squadre coinvolte: Chievo, Modena, Reggina, Sampdoria e Siena. In serie B squadre di prestigio come Venezia, Napoli, Como. Tra gli allenatori sono messi sotto inchiesta Papadopulo e Gigi Del Neri che guadagna dalle intercettazioni fama di incorruttibile ma deve confrontarsi con l'accusa di omessa denuncia. Tra i dirigenti spuntano nomi importanti. Il ds del Cagliari Nicola Salerno sarebbe "il santone", il presidente del Modena Amedei "il grande capo" (soprannome usato ad hoc in verità), il ds dei canarini Tosi "lo s***o". Infine gli arbitri, che condurranno l'inchiesta verso altri lidi, quelli che abbiamo imparato a conoscere con Calciopoli. Finiscono sotto inchiesta e vengono immediatamente sospesi dai designatori Bergamo e Pairetto, gli arbitri Palanca ("uomo nero") e Gabriele ("il ciociaro").
E' con l'inchiesta riguardante Palanca che le indagini prendono tutt'altra strada, in un contesto contrassegnato da una certa ambiguità e da qualche contraddizione. L'attenzione degli inquirenti si concentra su alcune frasi intercettate di Ambrosino che prima e dopo l'incontro Venezia-Messina, si dice sicuro della vittoria della squadra in trasferta. Non per un accordo tra giocatori delle due squadre, ma per la volontà dell'uomo nero, riconosciuto dagli inquirenti nell'arbitro Palanca. Ambrosino riferirebbe poi di avere ricevuto tale confidenza dal giocatore del Messina, oggi alla Reggina, Aronica. La partita effettivamente scatenerà molte polemiche e si concluderà con la vittoria del Messina e ben tre espulsi nelle fila dei lagunari. Espulsioni, va detto, giustificate: è il caso del portiere Soviero che si cimenta in una scena alla Bud Spencer, rifilando calci e cazzotti a chiunque gli capiti a tiro, e del difensore Maldonado (quello dell'acconto di Preziosi) che aggredisce fisicamente l'arbitro.
A questo punto gli inquirenti, seguendo una condotta che poi permeerà tutta l'indagine di Calciopoli, interrogano la presunta parte lesa e ne ricavano il verbo, la verità assoluta per proseguire le indagini. Vengono chiamati a deporre l'allenatore del Venezia Gregucci, già vice di Mancini alla Fiorentina, e colui che, non senza qualche elemento di dubbio nel metodo e nella sostanza del passaggio di consegne, ha ereditato la presidenza del Venezia da Zamparini, Franco Dal Cin.
Dal Cin sostiene davanti agli inquirenti l'appartenenza dell'arbitro Palanca a una fantomatica "combriccola romana", gruppo di arbitri capitanato dall'internazionale De Santis e con seguito evidentemente nella sezione romana dell'AIA, che si premurerebbe di assicurare risultati favorevoli alle squadre di riferimento della GEA, e quindi come scrivono gli inquirenti "alla famiglia Moggi".
Dal Cin e Gregucci basano la propria convinzione su un altro pilastro di Calciopoli: l'opinione comune dell'ambiente calcistico. "Si dice in giro che" De Santis e gli arbitri romani sarebbero proni al volere della GEA e quindi di Moggi. Dal Cin ha un'altra freccia al suo arco: prima dell'incontro tra la sua squadra e i peloritani, sarebbe stato avvertito telefonicamente da alcuni presidenti di essere spacciato, in quanto Palanca avrebbe condotto la partita a esclusivo favore del Messina. Fa i nomi di Cellino del Cagliari, il cui direttore sportivo era sotto inchiesta per le scommesse, Spinelli del Livorno, che comicamente i carabinieri descriveranno vicino alla GEA, ma non di un terzo presidente che l'avrebbe chiamato. Si potrebbe supporre Zamparini, presidente del Palermo e suo ex datore di lavoro, o Preziosi, che poi scopriremo suo amico. Ma questo terzo nome, comunque sia, non raggiunge la stampa.
Gli inquirenti danno grande risalto a questa deposizione, nonostante dopo tutto Cellino e Spinelli fossero antagonisti diretti del Messina nella lotta per la serie A quell'anno, e le loro parole e consigli potessero derivare da una certa, diffusa, paranoia competitiva.
Danno grande importanza a quelle che lo stesso Dal Cin, intervistato, derubrica a chiacchiere da bar.
Gli danno talmente importanza da dimenticare di testare quale possa essere la credibilità del personaggio Dal Cin, che presto andremo ad approfondire. E iniziano, a stretto giro di posta, un'altra indagine improntata a tutt'altro: la conosceremo due anni dopo con il nome di Calciopoli.
Il 5 giugno 2004 Dal Cin depone e nemmeno un mese dopo gli uomini di Auricchio sono al lavoro con un'indagine a tappeto, autorizzazioni ad intercettare e quant'altro sia necessario. Tutto per le parole di Dal Cin.
A questo punto il lettore immagina che quel Venezia-Messina sia stata la madre di tutti gli illeciti sportivi e il buon Palanca un ingranaggio ben oliato della cupola immaginata dai Pm. Invece no. La partita non è un caso di frode, secondo gli inquirenti. E sopratutto Palanca non entrerà nemmeno tangenzialmente nell'indagine sulla cupola e sulla combriccola romana, tanto che, ancora oggi, è a disposizione di Collina e Gussoni, regolarmente impiegato sui campi delle serie professionistiche. Palanca è pulito. Venezia-Messina fu una partita regolare.
Le dichiarazioni di Dal Cin, motore dell'inchiesta, non trovano quindi alcun riscontro e fondamento giudiziario. Così come la sua credibilità, nel frattempo, è scalfita da una combine con il Genoa di Preziosi al termine del campionato 2005. Gli inquirenti non se ne preoccupano e tirano avanti, tanto che quando daranno il via a un secondo giro di intercettazioni nel 2007, otterranno l'autorizzazione ad intercettare grazie alle dichiarazioni di Carbone che lo addita come faccendiere e aggiustatore di partite.
Risulta strana la fiducia assoluta accordata alle parole di Dal Cin, anche perchè l'inchiesta precedentemente si era interessata di presunti illeciti legati alle scommesse della sua squadra, il Venezia. Per strano che sia, comunque, va così. Dopo le deposizioni di Dal Cin, Scommessopoli diventa uno sperduto paesino di montagna, abitato da pochi viziosi. La giustizia sportiva opterà per la mano leggera: squalifiche di poco conto ai giocatori, squadre graziate; penalizzazione minima per il Modena. Le cronache giudiziarie non se ne interesseranno più. I rinvii a giudizio arriveranno ben due anni dopo e riguarderanno solamente nove imputati, tra cui Bettarini, Marasco e Ambrosino, non toccando i dirigenti coinvolti.
Nella prossima puntata andremo a comprendere meglio la svolta che Dal Cin imprime alle indagini, soffermandoci sulle dimenticanze dell'inchiesta sulle scommesse.