Il 29 marzo 2007, dopo innumerevoli rinvii, si conclude finalmente il processo alla Juventus. Con una mossa a dir poco sconcertante il pm Guariniello, sconfitto in sede d’Appello, aveva deciso di fare ricorso in Cassazione. Raro che un pubblico ministero prosegua fino al terzo grado dopo una sentenza di piena assoluzione.
In sintesi, la Suprema Corte respinge il ricorso per quanto riguarda la somministrazione di eritropoietina: il fatto non sussisteva e continua a non sussistere. Ora ci sarebbe da zittire tutti quei giornalisti (?) che per anni si sono riempiti la bocca parlando di “Juve epo-cale” e di “epo-pea bianconera” con una sfacciataggine ed una presunzione senza confini.
Eppure qualcuno ha trovato ugualmente il modo di rialzare la testa: la sentenza della Cassazione lascia intendere che si sarebbe anche potuto discutere il ricorso in merito all’abuso di farmaci ma che sarebbe stato completamente inutile, visto il sopraggiungere della prescrizione. Questo ha dato modo ai più ciarlieri di parlare di “assoluzione per prescrizione”, nell’ennesimo slancio forcaiolo e giustizialista. Pare invece di trovarsi di fronte ad una sentenza cerchiobottista: la Juve non è colpevole ma Guariniello non ha lavorato a vuoto. I giornali invece insistono menzionando la prescrizione, ma parlando tra le righe e a denti stretti del fallimento dell’accusa di doping vero e proprio, ovvero dell’uso di Epo. Una sconfitta in piena regola, solo parzialmente mitigata dall’illusione che l’abuso di farmaci possa “in astratto” essere considerato pratica dopante. Abuso di farmaci, come si è visto, praticato da tutti, come e più della Juventus.
Strano infine che nessun organo di informazione si sia premurato di sottolineare un fondamentale particolare: la Cassazione non entra nel merito delle sentenze, «Non giudica sul fatto, ma sul diritto: ciò significa che non può occuparsi di riesaminare le prove, ad esempio, ma può solo verificare che la procedura relativa ai gradi precedenti del giudizio si sia svolta secondo le regole». Il processo, al limite, si sarebbe dovuto rifare. Quindi, dov’è la tanto millantata “assoluzione per prescrizione» (“solo la prescrizione salva la Juventus” titola il Corriere della Sera)? Semplicemente era inutile proseguire, ma questo probabilmente un concetto che non andrà mai giù a certi scrivani che hanno nella Juventus la loro ragione di vita (e di retribuzione).
La storia è finita e non rimane che citare le parole dell’avvocato Chiappero:
E’ stato un grande successo che sconfessa anni di gogna mediatica perché, con riferimento al tema principale del processo, e cioè l’accusa di somministrazione di Epo, il ricorso del procuratore generale è stato addirittura dichiarato inammissibile.
e del dottor Agricola:
Per quanto concerne l’altra parte della sentenza è finalmente terminato il doloroso iter che vedeva imputato solo me per l’utilizzo di farmaci che tutti i medici dello sport senza eccezioni hanno usato negli anni oggetto d’indagine.
Ultimo commento ad Antonio La Rosa e ad un suo articolo, apparso su Juventus1897.it il 16 giugno 2007:
Leggendo la sentenza sul processo Agricola, ho trovato a pag. 26, una perla che vi riporto:
“Le condotte incriminate dall’art. 1 (legge 401/89), sono quindi due: la prima di corruzione in ambito sportivo ...la seconda ...è costituita da una generica frode e rimane integrata dal mero compimento di <<altri atti fraudolenti>> ... in quest’ultimo caso non costituisce <<una disposizione a più norme, ma una norma a più fattispecie ... l’ipotesi ha infatti una latitudine ... assai ampia e non certo comparabile con la puntuale previsione di cui al primo comma ... la natura fraudolenta dell’atto esclude qualsivoglia violazione del principio di determinatezza e di tipicità”!
Mi scuso in anticipo con i lettori se per natura dell’argomento dovrò essere alquanto tecnico, per gli argomenti, ma ritengo fondamentale commentare questo passaggio della sentenza, autentico attentato a principi fondamentali del diritto penale.
Da studentello, il mio grande professore di diritto Penale (Enzo Musco), mi insegnò che il principio fondamentale del Diritto Penale è il cosiddetto “principio di legalità”: un reato esiste perchè esiste una previa norma di legge che lo qualifichi come tale, ma per qualificarlo come tale la norma deve essere "tassativa" ossia sufficientemente determinata nella fattispecie (ossia la descrizione del fatto-reato).
Tempo sprecato il mio, forse era meglio che mi davo ai divertimenti anziché perdere tempo nei manuali e a lezione, tanto poi arriva la Cassazione a dire l’esatto contrario, ossia che basta ipotizzare fraudolenza in qualunque comportamento fraudolento, perché proprio qualunque comportamento possa essere ritenuto reato.
E’ sufficiente solo che un Giudice si convinca che quel comportamento è fraudolento, e dunque diventa reato, anche a costo di arrivare a sentenze assurde al termine di processi assurdi, e cercherò di spiegarne le ragioni. La legge 401/89 venne emanata a seguito dello scandalo "calcioscommesse 2", e in considerazione del fatto che tutti gli imputati dello scandalo “calcioscommesse 1” (quello che portò il Milan e la Lazio in B), vennero assolti, dato che all’epoca non esisteva una legge che punisse fatti del genere.
Quindi legge che nasceva dalla necessità di reprimere quei fatti che, compiuti da tesserati, giocatori, dirigenti, estranei, etc., producevano una alterazione dei risultati sportivi, per far conseguire degli utili o garantire interessi di vario genere (che so, scommesse clandestine, promozioni o retrocessioni mirate, vittorie di partite decisive, o anche vittorie in gare senza rilievo di classifica): come dire, forma di corruzione nello sport: l’art. 1 infatti recita: “Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (Unire) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione ...”.
La questione interpretativa si pone dunque per quell’inciso "compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo", che (mi scuso per chi tecnico non è) per il noto principio della "tassatività", non può che essere un atto equiparabile all’offrire o promettere denaro e/o altri vantaggi, al fine di raggiungere un risultato diverso.
In altri termini, la “ratio legis” sta nella combutta tra più soggetti per l’alterazione di un risultato sportivo, nelle forme più disparate, ma sempre a quel fine: in parole povere, un accordo tra giocatori, che so, per far segnare più gol ad uno in modo da fargli vincere la classifica cannonieri, e dunque farlo innalzare di valore, anche se non rientra nel caso della corruzione vera e propria, sarebbe comunque una frode sportiva.
E’ evidente che, posto così il problema, l’uso di farmaci (o l’abuso, o anche l’uso di sostanze dopanti, come si voglia preferire), non è in alcun modo inquadrabile nel reato di frode sportiva, dato che non c’è la "concertazione" tra soggetti per alterare il risultato, non c’è il promettere o dare denaro o altri vantaggi, non c’è insomma l’azione mirata ad alterare il risultato sportivo, per l’ovvia ragione che l’uso di quei prodotti magari aumenta il rendimento dell’atleta, ma non produce di per sè l’alterazione del risultato sportivo, che in effetti può anche non accadere.
Cosa di cui era ben convinta la Cassazione, che in una sentenza del 1996, escludeva dalla frode sportiva, l’uso di sostanze dopanti da parte dei ciclisti. Poi arrivò ... Guariniello!
La sua indagine a Torino, dopo le famigerate dichiarazioni di Zeman, partì inizialmente come ipotesi di reato relativa alla tutela della salute del lavoratore, che sarebbe stata messa a rischio dall’uso non giustificato di farmaci; poi, non essendo l’ipotesi tale da suscitare clamore mediatico, interviste, conferenze stampa e quant’altro, il nostro Guariniello, uscì il coniglio dal cilindro: l’uso di questi farmaci, anche se leciti, ma in dosi non giustificate o ritenute non giustificabili, non può che essere inquadrato nell’atto fraudolento al fine di alterare un risultato sportivo, e dunque costituisce frode sportiva.
Cosa che nella sua requisitoria ha in sostanza detto: mi ricordo a memoria che ebbe a dire una frase tipo “noi non capivamo perchè dopo nove anni la Juventus era tornata a vincere”: insomma la vittoria come frutto di uso di farmaci, ed allora mi chiedo perchè non si sia, Guariniello, insospettito di quel Milan che aveva vinto per tre anni di fila, prima della "dopata" Juventus!. Teoria rimasta isolata, tanto che la legge sul doping fu emanata nel 2000, e proprio perchè si ritenne che in effetti c’era un vuoto legislativo sul punto, che andava colmato con una legge ad hoc, molto più rigorosa, dato che la fattispecie è a dolo generico (è sufficiente solo l’assunzione di farmaci illegali per commettere reato), mentre la frode sportiva è a dolo specifico (l’atto deve essere finalizzato alla alterazione del risultato, altrimenti non è fraudolento).
Tornando alla sentenza della Cassazione, il pericolo di quel principio che ho evidenziato all’inizio, sta proprio nel fatto che, non potendosi applicare retroattivamente una legge, quella del 2000, che peraltro dichiarò illeciti certi farmaci leciti fino a quel momento, tende a fare rientrare dalla finestra ciò che dalla porta principale non può entrare, ossia il ragionamento che l’uso o abuso di farmaci possa essere finalizzato all’alterazione del risultato sportivo, e dunque rientrante nella previsione della legge 401/89.
La cosa produce una pericolosissima estensione della fattispecie, dato che se l’atto fraudolento può essere commesso non da più persone, in concertazione fra di loro, bensì da sole persone appartenenti ad una sola squadra (come nel caso che ci occupa), d’ora in avanti qualsiasi atto che abbia come esito l’alterazione del risultato sportivo, può essere ritenuto fraudolento e dunque frode sportiva.
Come dire, si sta trasformando l’art. 1, nell’inciso che ho evidenziato, in una specie di norma penale in bianco, in violazione del principio di legalità, dato che la qualificazione dell’atto come fraudolento diventa un giudizio discrezionale e non più vincolato a parametri ben precisi.
Il tutto per far dire ai media che la Juventus in fondo era colpevole ma si è salvata per prescrizione, insomma per accontentare l’antijuventinismo dilagante.
Insomma, qui non si parla più di calcio da bar sport, ma di diritti inviolabili, di principi costituzionali calpestati, di certezza del diritto mandata a quel paese: sta qui il pericolo di pronunce come quella di cui discutiamo.
In sostanza: si sono letteralmente inventati una ipotesi di reato, pur di far dire che la Juve si dopava. Chiaro?