I tifosi interisti che alla quarta di campionato (15-02-98) assistono a S. Siro al 5-0 dei propri beniamini con il Lecce, invece di festeggiare la rotonda vittoria, si dedicano alle prove generali dei piagnistei da inscenare per una sconfitta finale che da settimane leggono nelle deludenti prestazioni della Beneamata. Imbeccati da Roma, dove in settimana, dopo la sconfitta di Torino, la stampa giallorossa scatena la solita gazzarra immonda per il contatto Deschamps-Gautieri (ricordiamo che quest’ultimo era partito in fuorigioco). Al solito, nessuno minimamente considera l’aspetto tecnico di quella partita, altrimenti bisogna parlare della netta supremazia che la Juve ha dimostrato sul campo, e ciò non fa notizia. Un mese dopo, la Juve arriverà anche a chiedere i danni al Messaggero, nei panni dell’editore, del direttore responsabile Pietro Calabrese e del redattore sportivo Roberto Renga.
Dunque, a Milano i tifosi nerazzurri, dopo aver contestato nelle ultime settimane le scadenti prestazioni dei loro beniamini, non esitano a raccogliere il testimone romano spostando le loro invettive contro la marcia sicura della Juve. In curva Nord campeggiano tre eloquenti striscioni: "Gli arbitri hanno dato il verdetto: alla Juve lo scudetto"; "Giraudo, Bettega, Moggi, dai fischietti solo appoggi"; "Juve, senza fischietto niente scudetto".
Quando, dopo 3 minuti dall’inizio della partita, Djorkaeff cade in area per un banale contatto con Sakic e l’arbitro non fischia, San Siro esplode in bordate di fischi e cori anti-Juve. Fa niente se il Lecce è davvero poca cosa e ben presto arrivano i gol di Ronaldo, Milanese e Cauet, anzi, ridicolmente, una volta messo al sicuro il risultato, la curva comincia a cantare al ritmo di Guantanamera: "Senza rubare, vinciamo senza rubare". Il resto dello stadio applaude. Nel secondo tempo, altri due gol di Ronaldo, l’esordio a San Siro di Kanu, e un ennesimo striscione: "Juventopoli".
D’altronde, nel posticipo serale di Torino, dove è di scena la Sampdoria, la Juve fornisce l’ennesima prova di forza, carattere e classe, di fronte alla quale la pancia del tifoso piangina ha difficoltà a relazionarsi con sportività. La pratica viene chiusa nei primi 10 minuti grazie a una fantastica azione personale di Del Piero al 5’ e alla realizzazione di Inzaghi al 11’, su assist di Conte e precedente azione del solito Del Piero. La Juve, che crea anche altre occasione da gol, da quel momento in poi tiene facilmente in pugno la partita e la Samp non riesce mai a rendersi pericolosa. Da segnalare anche due espulsioni un po’ affrettate, quella del blucerchiato Laigle e quella di Iuliano (propiziata da una furbata di Signori), che creerà problemi per la trasferta di Firenze. Nella ripresa Fonseca arrotonderà il risultato, ma la Juve spreca molte altre occasioni in contropiede. 3-0 e tutti a casa.
La settimana successiva l’Inter avrebbe una grande occasione per accorciare il distacco, perché una Juve rimaneggiata e acciaccata cade fragorosamente a Firenze, ma non sa approfittarne.
Per la quinta di ritorno in programma il 22 febbraio, Lippi si trova costretto a sopperire ad assenze importanti in difesa, così prova a mandare in campo una formazione imbottita di centrocampisti (Torricelli, Conte acciaccato e Davids, più Zidane e Pecchia a supporto dell’attacco) con solo Del Piero di punta, mentre Inzaghi viene tenuto in panchina. Dall’altra parte, Morfeo, Oliveira e Batistuta partono forte e mettono in difficoltà la linea difensiva costituita da Dimas, Montero, Tacchinardi e Birindelli, finché al 31’ Firicano a sblocca il risultato su pennellata di Morfeo. Passano 3’ e i viola raddoppiano, grazie a un’azione di Morfeo, bravo a liberare Oliveira che, dopo uno scambio con Batistuta, infila Peruzzi. I cambi dell’intervallo di Lippi (Deschamps per Conte e Inzaghi per Pecchia) scuotono la Juve, che sfiora ripetutamente il gol che riaprirebbe la partita con Inzaghi e Zidane e colpisce un palo con Del Piero. Ma fatalmente si espone al contropiede viola, che colpisce al 34’ con Robbiati, chiudendo la partita.
Come detto però l’Inter non ne approfitta, e non per colpa degli arbitri, ma di una Lazio in gran forma, che dopo aver battuto pochi giorni prima in Coppa Italia la Juve, annichilisce i nerazzurri all’Olimpico, raggiungendoli anche al secondo posto. Molti i meriti di Eriksson, che è riuscito a trasmettere ai biancocelesti una filosofia di gioco più proficua di quella che tramite Zeman aveva caratterizzato le tre stagioni precedenti. Gli aquilotti impiegano meno di mezz’ora per sbarazzarsi dell’Inter, annichilita sia sul piano fisico che su quello tecnico. Il K.O., come nel caso della Juve a Firenze, arriva nel giro di pochi minuti: al 25’ con Fuser, che appoggia in rete un assist di testa di Boksic, su cross di Jugovic, e al 29’ con Boksic, che schiaccia di testa a rete una punizione di Fuser da destra.
L’Inter, in preda a una pochezza d’idee disarmante, non riesce a reagire. Tutto viene lasciato sulle spalle di un Paulo Sousa che, per nulla supportato dai compagni, riesce solo a tentare la carta della verticalizzazione per un Ronaldo marcatissimo e poco brillante. Un po’ meglio gli ospiti vanno nella ripresa, con Kanu per Djorkaeff, ma la traversa colpita da Moriero è un eccezione, perché per il resto non combinano nulla. La Lazio si limita ad amministrare la gara, finché nel finale Casiraghi triplica approfittando di un errore di disimpegno di Fresi.
La sesta di campionato è segnata da nuovi piagnistei, ma curiosamente stavolta sono gli interisti a subirli. La capolista e le inseguitrici giocano l’anticipo di sabato 28 febbraio, perché le attende il ritorno delle Coppe Europee.
La Juve ospita il Bari, ma è già proiettata al confronto del Delle Alpi contro la pericolosa Dinamo Kiev dell’astro nascente Andriy Shevchenko, per i quarti di Champions League. Decide un tocco di Neqrouz al 19’, che devia nella propria porta un tiro di Inzaghi, poi i bianconeri amministrano il risultato, sprecando anche diverse occasioni per il raddoppio, in particolare due con lo stesso Inzaghi a tu per tu col portiere Mancini. Il Bari, benché combattivo, non riuscirà mai a impensierire Peruzzi, e quando al 10’ del secondo tempo resta in dieci per una doppia ammonizione di De Ascentis, per Lippi è il segnale che è l’ora di far riposare Deschamps, Del Piero e Dimas (sostituiti rispettivamente da Tacchinardi, Pessotto e Fonseca) in vista della Dinamo Kiev.
A San Siro l’Inter riesce a mantenere il passo grazie a una vittoria (2-0) molto contestata dagli ospiti (il Napoli) per un poco edificante episodio capitato in occasione della rete dello svantaggio. Fino al 63’, minuto del fattaccio, l’Inter era stata ripetutamente contestata dal proprio stesso pubblico, poi succede che Galante interviene su Goretti che cade battendo la testa e rimane a terra. La palla inizialmente resta al Napoli, l’arbitro dà la regola del vantaggio, ma l’Inter se ne impadronisce e Moriero, mentre gli ospiti chiedono di mettere fuori per far intervenire i sanitari, scende sulla destra e crossa basso per Zamorano che con un bel colpo di tacco insacca. Mentre San Siro esulta, la panchina napoletana e gli azzurri in campo insorgono contro l’arbitro, che nella baraonda finirà anche per lasciarli in 10, espellendo Ayala. La partita, in pratica finisce lì: 10 minuti dopo arriva il raddoppio di Ronaldo su rigore e per il resto l’Inter potrà comodamente gestire il vantaggio, sfiorando anche il terzo gol.
Così commenta, al termine del match, il DG del Napoli Antonio Juliano: "Hanno avuto poco fair play, quelli dell'Inter. Avrebbero potuto mettere la palla fuori per consentire ai sanitari di soccorrere il nostro giocatore. Invece, l'azione è proseguita. L'unica consolazione è che siamo riusciti a tenere testa a Ronaldo e compagni per più di un'ora. Nel primo tempo, non dimentichiamolo, è esistito soltanto il Napoli. Abbiamo creato anche un paio di opportunità come l'acrobazia di Stojak che ha sfiorato il palo. Peccato, avremmo meritato di uscire imbattuti da San Siro e di conquistare almeno un punto". Le recriminazioni dei napoletani, trasmesse domenica sera in TV, provocheranno il silenzio stampa dell’Inter.
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